Enrico Colombotto Rosso


Torino, 7 dicembre 1925. Casale Monferrato, 16 aprile 2013

 

 “(…) Mi sono sempre interessato alle cose che borghesemente si dicono macabre, ma per me non sono macabre: è una realtà. È diverso dal macabro che tu componi, a livello descrittivo. A livello di immagine plastica per me è diverso. Quando disegno un cadavere... per me è come disegnare una figura bellissima... Ho fatto anche della gente abbastanza bella nella pittura, ma sono rarissime, anche perché mi annoia. Ci deve essere una ragione del perché sono attratto da questo. È certamente molto occulta, perché non è nel mio carattere, perché non ho incubi, dormo benissimo, non sono alcolista, non so cos’è la droga se non l’aspirina.”13

 

Personaggio fra i più significativi dell’arte surreale-fantastica torinese, già attivo negli anni ’50, incontra successivamente i pittori del gruppo Surfanta e gli esponenti del surrealismo torinese ma il sodalizio con gli altri artisti, pur basato su tematiche comuni, non ha avuto vita lunga in quanto artista solitario che opera lontano dai clamori.14

Sul finire degli anni '40, Colombotto Rosso inizia a viaggiare e, a Parigi, entra nella cerchia di amicizie di Leonor Fini, Max Ernst, Stanislao Lepri, Dorothea Tanning, Jacques Audiberti, personaggi padroni già della scena internazionale e molto vicini a lui per la loro espressione artistica; queste amicizie dureranno tutta la vita e in particolare con Leonor Fini che individuando in lui un talento unico lo sprona a dedicarsi esclusivamente all'arte.

L’amicizia fra Colombotto Rosso e la Fini durò fino alla morte di lei.

Nelle opere di Enrico Colombotto Rosso la “bellezza risulta contaminata dalla malattia, deformata per il premere assiduo di tare secolari, illividita dall’alito della morte: nel suo corrompimento, però essa si esalta per una sinistra nobiltà.

Così mi viene da paragonare questo artista a un frequentatore di cripte della Controriforma. Egli evoca gli spettri di santi e di beati, di megere e di vergini che giacciono mummificate in bare di cristallo costellate di gemme per immetterli nei giardini incantati abitati dall’unicorno.” Figure, volti maschili e femminili, bambole, gatti, esseri mostruosi rappresentati febbrilmente dalla prime luci dell’alba sino al tramonto su tutto ciò che trovava: tele, carta da pacchi o di giornale, spartiti musicali, fogli di carta velina. “Se un pittore di casa nostra ha compiuto un’ascensione verso l’uomo è Enrico Colombotto Rosso poeta e non grammatico della condizione del dolore intesa in molte eccezioni.

C’è una Torino dalle profondità angosciate e lui l’ha conosciuta. Io penso che lo scopo della vita non sia solo trasmetterla ma correggerla traendola fuori dal caos del terribile, del deforme, degli scompensi di ogni natura.”15

                              

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13 Enrico Colombotto Rosso, Vite in Mostra - Venti maestri piemontesi si raccontano per i dieci anni di Sala Bolaffi (1998-2008), Federico Faloppa, Giulio Bolaffi Editore, 2009

14 Massimo Melotti, Carlo Munari, La Città Magica. Arte surreale e fantastica a Torino. Vercelli, Giorgio Tacchini Editore, 1979, p.92

15 ID. ibid. p.131


Pittura